Alessandro Masi: 1929-1942. Afro Basaldella: dalla formazione agli anni romani

Afro-Libio Basaldella, più comunemente conosciuto con il nome di Afro Basaldella , nasce ad Udine il 4 marzo del 1912, terzogenito di Leo e Virginia Angeli.

Suo padre pittore e decoratore precocemente scomparso nel 1918 trasmette al giovane l’amore per l’arte e in particolare per la decorazione murale. Afro Basaldella è considerato uno dei maggiori protagonisti della scena dell’arte moderna italiana ed internazionale del secolo appena trascorso. Le sorti della sua pittura, pur legandosi a tratti forti con la tradizione figurativa italiana prima metà del ‘900 e con l’astrattismo informale del Secondo dopoguerra, hanno lasciato una forte impronta di peculiare originalità nel vasto campo delle esperienze non-figurative che non di rado ha creato qualche punta di imbarazzo a critici e storici dell’arte. Su tutto balza evidente lo “strappo” netto che intercorre tra il periodo della formazione e delle prime esperienze condivise a Roma con Corrado Cagli – di cui fu amico e profondo estimatore – e quelle successive cubiste e post-cubiste durate fino al 1947 quali premesse del futuro periodo “informale”. In particolar modo stupisce nei primi anni di formazione l’estrema indipendenza stilistica di Afro Basaldella che, pur non rinunciando a seguire il percorso “antinovecentista” tracciato da Cagli nella poetica del “primordio” e nel ritorno alla pittura murale, trattiene per sé motivi e stilemi della propria tradizione veneta. Il tonalismo di marca veneta e le prime influenze di Cagli su i suoi dipinti sono dunque la premessa al suo ingresso nell’universo delle forme e dei colori della giovane arte moderna.

Figlio di una stirpe di artisti, (come si era già detto, suo padre fu pittore e decoratore) e fratello minore degli scultori Dino (1909) e Mirko (1910), Afro Basaldella mostrò il precoce interesse per la pittura raffigurando scene di vita familiare e di altro genere che furono felicemente assecondate in famiglia. Tuttavia il cammino verso la modernità prese ben presto le mosse dalle terre friulane per nuovi e più ambiziosi orizzonti. In particolare il giovane Afro Basaldella , compiuti i primi studi a Venezia prima e a Firenze poi, si diploma in pittura nel 1931 a soli diciannove anni e vince nel 1932 una borsa di studio (2 mila lire), con la quale si reca a Roma dove ha modo di conoscere Scipione e Mafai e poi a Milano dove frequenta Birolli, Morlotti ed ha la fortuna di lavorare per qualche tempo con suo fratello Mirko nello studio di quel gigante della scultura italiana del primo dopoguerra che è stato Arturo Martini.

Sarà bene ricordare tuttavia che l’attività espositiva giovanile ancor prima di espletarsi più compiutamente a Roma, aveva avuto già qualche timido esordio nella terra natia come quando nell’ottobre del 1928 proprio ad Udine, appena sedicenne, con Dino, Mirko e Filipponi tiene la I Mostra della Scuola friulana d’avanguardia, a sottolineare il carattere regionale e le tensioni poetiche modernistiche dell’agire artistico presentando paesaggi e nature morte di carattere “metafisico” molto vicine ai modi della “nuova oggettività” tedesca mutuata dall’amico Fred Pittino. L’anno seguente è a Venezia alla XX Esposizione dell’Opera Bevilacqua la Masa. Tuttavia i forti legami di Afro con la sua origine veneta – che non si sciolsero né con la lontananza, né con gli anni futuri – bene furono sottolineati da Cesare Brandi molto più tardi, quando nel 1973 su “Qui Arte Contemporanea” del 14 marzo riconobbe all’artista che “la sua natura di veneto l’aveva ripreso senza riportarlo indietro, ma permettendogli di recare all’arte moderna qualcosa come un fascio di erba fresca, il trasvolare delle nuvole in cielo, l’azzurro di un lago e il giallo intenso di un prato fiorito, ma senza l’erba, senza nuvole, senza lago e senza prato”. In realtà l’interpretazione naturalistica di Brandi coglieva l’essenza di una tradizione che da Giorgione e Tiziano in avanti aveva negato il rigido concettualismo di marca tosco-romana, legato prevalentemente al dogma razionalistico del disegno largamente precostituito rispetto alla libera massa tonale. Di questa peculiarità Bruno Matura ha avuto ben modo di sottolinearne l’importanza allorché ricorda che di fronte alle sue opere si ha la dimostrazione di “quello che l’arte deve essere”, ossia un’invenzione individuale garantita da un elevato artigianato suddivisa tra irrazionalità e razionalità. D’altro canto lo stesso Afro Basaldella , in un’intervista a Lucio Damiani apparsa su “Il Gazzettino” del 15 settembre del 1966, aveva dichiarato che “non ha senso la distinzione fra astratto e figurativo. L’artista, dipinga una macchina o un volto umano, avrà sempre e soltanto presenti i ritmi, i colori, le forme…mai il soggetto”.

Giunto nella Capitale nel 1929 grazie all’assegno di studio della Fondazione Marangoni conferitogli per l’ottima esecuzione di una copia del “Cristo morto” del Mantegna, Afro Basaldella incontra e conosce Scipione, Mario Mafai e soprattutto Corrado Cagli (Ancona 1910-Roma 1976), pittore marchigiano trapiantato a Roma con la sua famiglia già dal 1915 ed autore di affreschi murali nel 1927 in Via Sistina, nel 1928 in un salone di Via del Vantaggio e nel 1930 ad Umbertide di otto quadri ad affresco nella casa Maravelli-Reggiani, la cui personalità vivace ed intelligente lascerà forti segni in quella del più giovane Afro Basaldella . Non trascurabili saranno inoltre le ascendenze delle conoscenze con i pittori Mafai (Roma 1902-1965) e Scipione (Macerata 1904-Arco di Trento 1933) a Roma fin dal 1919, entrambi impegnati su di un fronte artistico a cavallo tra il primitivismo e una vena visionaria pronunciata in senso surreale.

Trascorso questo primo e breve soggiorno capitolino espone a Venezia alla Galleria Ca’ Pesaro e a Udine alla V Sindacale Friulana. Dopo di che parte alla volta di Milano dove trascorre tutto il 1932, frequentando con il fratello Mirko lo studio dello scultore Arturo Martini e quelli dei pittori Birolli e Morlotti.

Terminato nel 1934 a Spoleto il servizio militare, ritorna di nuovo a Roma dividendo con il fratello Mirko uno studio con Cagli del quale finirà di innamorarsi e poi sposare la sorella Serena. La teorica di Cagli lo affascina oltremodo. Lo colpisce soprattutto quel concetto nuovo di “primordio” e di “tonalismo” che ben si accordano con gli interessi del friulano sulla via del recupero della tradizione italiana più sincera e meno retorica. Il tonalismo di marca veneta e le prime influenze di Cagli su i suoi dipinti sono dunque la premessa al suo ingresso nell’universo delle forme e dei colori della giovane arte moderna.

La Capitale e l’Italia intera di quegli anni è caratterizzata da una ricca vis polemica e culturale. Certamente uno dei dati più interessanti per il giovane Afro Basaldella è il dibattito aperto, dopo la partecipazione a febbraio-marzo di Corrado Cagli alla triennale milanese, sulla pittura murale. Difatti a maggio esce su “Quadrante” n.1 il celebre testo di Cagli “Muro ai pittori” con il quale si annuncia che “ormai da tempo, e sotto diversi cieli, si manifestano aspirazioni all’arte murale, all’affresco”. Appoggiato apertamente dallo stesso direttore Pier Maria Bardi, le medesime posizioni vengono ripetute con Cagli, Cavalli e Capogrossi in occasione della mostra parigina alla Galerie Bonjean dove vengono presentati su “Quadrante” n.6 dell’ottobre 1933 come “anticipi di scuola romana”, espressione di un valore “primordiale” e di ponderata attesa metafisica. Su questa scia si vanno aggregando negli anni seguenti Gentilizi, Janni, Monti, Viveri, Fazzini e dopo qualche tempo lo stesso Afro Basaldella , ormai in aperta sintonia con le posizioni di Cagli.

In questo contesto sarà bene non dimenticare che il 1933 è anche l’anno della pubblicazione del Manifesto della pittura murale di Sironi che sulla stessa via di Cagli reclama un indirizzo sociale alla pittura murale finendo così per spaccare il fronte opponendosi alla chiusura di Farinacci, Sommi Picenardi e indirizzando loro sulle pagine de “Il Popolo d’Italia” del 31 maggio, adirato da tanto clamore, l’articolo “Basta!”. Ma è ancora lo stesso Farinacci che replica il 1 giugno su “Il Regime Fascista” con un “Ma che basta!”. La polemica, sembra, fu messa a tacere dallo stesso Mussolini con la celebre frase “Novecento, Novecento. Queste orribili figure con questi manoni, questi piedoni, questi occhi fuori posto, sono ridicole, fuori da ogni buon senso, fuori dalla tradizione, fuori dall’arte italiana. E’ ora di finirla, dico, di finirla. E Mario Sironi è un imbecille. Il suo articolo sul ‘Popolo d’Italia’ intitolato ‘E Basta’. Non basta affatto”.

Nel gennaio del 1934 scoppia una nuova violenta disputa sul tema contrapposto ”europeismo” e “internazionalismo artistico”. Dalle pagine del “Tevere” Giuseppe Pensabene lancia pesanti accuse a Capogrossi e Cavalli, tacciandoli di “infantilismo” e più in generale di “tonalismo” di marca “filofrancese” ed antipatriottico. La polemica si chiude con una replica di Capogrossi e Cavalli sul “Tevere” del 9 maggio con un’affermazione di lealtà ai valori italiani e “all’occorrenza anche volontari di guerra e fascisti”.

Il 5 febbraio si inaugura la II Quadriennale Nazionale d’Arte del 1935 di Roma, ove trionfa la giovane pittura italiana con segnalazioni e premi per Mafai, Cagli, Pirandello, Capogrossi, Cavalli, Fazzini, Viveri, Guttuso e due grandi personali sono dedicate a Severini e Guidi. Afro Basaldella espone per l’occasione una “Natura morta” e “Pittore e cavalletto”.

In aprile la contessa Anna Laetitia Pecci-Blunt apre a Tor de’ Specchi la “Galleria della Cometa” (simbolo tratto dal suo stemma nobiliare) diretta da Libero de Libero e di fatto anche dallo stesso Corrado Cagli. Gli intenti più che mercantili sono quelli di far conoscere al grande pubblico le nuove tendenze dell’arte moderna. La “Cometa” sarà per tutti gli anni dell’attività romana (fino ai primi anni ’40) e newyorkese (dal 1937 apre una succursale a New York), il punto di riferimento per tutti i talenti noti e meno noti. Difatti due anni dopo l’inaugurazione della galleria, Afro Basaldella tiene in aprile una importante personale che segue di qualche tempo la collaborazione parigina con Cagli alla realizzazione delle vaste decorazioni per l’Esposizione universale e la decorazione a tempera all’uovo di ambienti murali della sede dell’Opera Nazionale Balilla di Udine, scialbati e riscoperti soltanto nel 1989.

In una recensione alla mostra romana apparsa su “Le Panarie” ( a. XIII, n.75, Udine maggio-giugno 1937, pp.220), Luigi Aversano non teme di esagerare, “affermando che questa di Afro Basaldella e’ fra le piu’ belle e interessanti mostre che la Cometa abbia offerto al godimento del suo pubblico intelligente e numeroso. Ne’ esagero – prosegue il critico-, se considero questo giovanissimo pittore una delle migliori speranze d’Italia e, certo, il piu’ serio e valente artista che il Friuli abbia espresso da parecchi anni a questa parte. Dico infine che Afro Basaldella e’ il pittore veneto puro sangue, e lo si riconosce a distanza, dalle atmosfere calde dorate che ricordano i grandi del secolo aureo.

Signore del colore che adopera con disinvolta prova; compositore sapiente che con maestria di architetto sa disporre in classica armonia elementi formali e luci ed ombre per ricavarne sinfonie ed effluvi di poesia; ritrattista di grande intuizione nell’afferrare e rendere i caratteri umani; Afro che pur e’ modernissimo sa creare come pochi quell’immediata corrente di simpatia fra l’osservatore intelligente e l’opera sua.

Poiche’ si tratta di pittura onesta, e soprattutto di pittura italiana. L’essersi avvicinato a Corrado Cagli nell’inizio della sua carriera, e’ gia’ segno di buon gusto. E se di Cagli ha per alcun tempo subito l’influsso, nelle sue ultime opere Autunno, Autoritratto, Ritratto di giovane, e in alcuni quadri di fiori, Afro Basaldella e’ lui, solo lui: espressione schietta di un temperamento sano. Qualche reminescenza cagliesca in questa ben selezionata raccolta, si puo’ riscontrare ancora in qualche composizione di soggetti; ma e’ reminescenza di gusto: che’ la pittura, la materia sonora trasparente viva, e’ ben sua.

Afro Basaldella predilige la tempera grassa, all’uovo; fra le tecniche pregiatissima per le difficolta’ nell’uso e i risultati impareggiabili nelle trasparenze e nello smaltato: materia inalterabile e resistente ai secoli; ma non adatta per i faciloni e nemmeno per gli stentati, che’ necessita immdiatezza e istinto: quell’istinto che Afro Basaldella porta nel sangue ereditato dai grandi maestri veneziani.

A voler analizzare i dipinti esposti, eccezione fatta per qualche composizione che puo’ far ricordare Cagli (fratello spirituale, animatore delle giovani energie artistiche romane) dovremmo mettere su di un piano superiore quell’Autunno e quel Ritratto di giovane sui quali a ragione il De Libero, che presenta nela catalogo con azzeccato giudizio l’artista, punta le sue speranze. L’Autoritratto e’ un piccolo poema in cui campeggia tra tralci di vite una gabbia che imprigiona un malinconico uccello, sullo sfondo di ondulate colline, ciuffi d’alberi, qualche casa, sotto un cielo mosso che avvolge della sua luce dorata la scena, squarciato a sinistra da un prezioso lembo d’azzurro.

Nel Ritratto di giovane, pensieroso dopo la lettura, tutto contribuisce alla efficace realizzazione dell’opera pittorica esprimente l’individualita’ del ritrattato con rigorosa sintesi: la giacca di un verde profondo, misterioso; le mani nobilissime come quelle dei due autoritratti; l’ampio fazzoletto che avvolge il collo; l’umana espressione del volto.

Su altro piano, sempre di alto livello, van messi gli studi di fiori, zinnie, fatti con tanto amore, interpretati con semplice naturalezza. Quell’amore senza il quale non si fa arte; ma amore in umilta’, non baldanzoso e non superbo.

La bella e interessante mostra e’ stata frequentatissima; e l’onorevole Amato, presidente del Sindacato Belle Arti del Lazio, nel visitarla, ha con buon fiuto notato il grande valore del giovane Afro Basaldella , ed ha voluto che l’autoritratto che gia’ figuro’ all’ultima Sindacale Friulana e un quadro di fiori, fossero esposti alla importante esposizione laziale inaugurata il 15 aprile da S.M. il Re Imperatore.

Per la terza volta non esagero affermando che quell’autoritratto, gia’ riprodotto su La Panarie, e’ la migliore pittura dell’esposizione cui hanno partecipato illustri rappresentanti dell’arte italiana, e dei piu’ preziosi usciti da pennello di artista friulano dopo i grandi del Rinascimento.

Bene ha fatto quindi il Ministro dell’Educazione Nazionale ad acquistarlo per la Galleria d’Arte Moderna di Roma”.

Nel ’36 Afro Basaldella aveva partecipato alla XX Biennale di Venezia con Oreste e Pastore, opere che andavano ricucendo i fili con la tradizione italiana e in particolare veneta e poco più tardi tornerà a rielaborare progetti decorativi come la Casa Cavazzini a Udine (1938), l’Albergo delle Rose e la Villa del Profeta a Rodi, grazie anche all’interessamento di Brandi. Di questi lavori G.V. ne aveva tratto un articolo per “La Panarie”, a.XIV, n.83, Udine, sett.-ott.1938, pp.301-309 dal titolo“Artisti giuliani e friulani alla XXI Biennale veneziana” apparso in occasione della XXI Biennale di Venezia, dove per l’appunto il giornalista intende rivolgere ai lettori “una doverosa segnalazione”, con cui si ricordano con il nome del pittore Afro Basaldella , “i successi romani e il compito attualmente affidatogli dalla Soprintendenza all’Arte di Rodi, dove adorna con inesausta vena e sciolta maniera alcune ville signorili, ripristinando il gusto della pittura parietale”.

Ancora nel ’38 è presente alla VIII Sindacale Laziale con Baccante e Natura morta, mentre l’anno precedente aveva partecipato alla VII Mostra Sindacale del Lazio recensita da A.F. su “Emporium” nel 1937 (Bergamo, a. XLIII, estratto, p.389, “Mostra sindacale del Lazio”), non senza una qualche punta di benevola ironia: “Un altro pittore che si presenta in forma inattesa e’ Oreste (?) Afro Basaldella . Data la provenienza di questo artista il suo Autoritratto risulta particolarmente importante. “Si e’ specchiato nel fiasco”, dice un nostro spiritosissimo amico alludendo alla arbitraria atmosfera verdastra nella quale e’ immersa la figura. E l’umorista ha ragione da vendere. Ma il quadro e’ ugualmente ben dipinto, e soprattutto tradisce un naturale bisogno o, comunque, una tendenza del pittore (diciamo una tendenza) a sciogliersi dai legami d quella retorica che chiameremo del “deforme espressivo”, di cui si ebbero saggi abbastanza clamorosi alla mostra personale che lo stesso Afro Basaldella tenne recentemente alla Galleria della Cometa. In alcuni quadri di tale mostra i ricordi caglieschi, che ancora impolverano l’Autoritratto, erano ben piu’ evidenti. Cosi’, l’Oppo ha detto assai acutamente quando, a proposito dell’Autoritratto, ha accennato “ad una sostanza vitale di arte veramente sua”. Il tonalismo di marca veneta e le prime influenze di Cagli su i suoi dipinti sono dunque la premessa al suo ingresso nell’universo delle forme e dei colori della giovane arte moderna”.

Nel 1938 è al Premio Carnegie di Pittsburgh e nel 1939 partecipa alla III Quadriennale (dove il Comune acquista Composizione). Con Mirko tiene una doppia personale a Genova e a Torino recensita da Italo Cremona sulle di “Torino” di luglio “La mostra alla Zecca” (a.XVIII, n.7, Torino, luglio 1939) con il quale riconosce che “Afro Basaldella e Mirko Basaldella hanno portato a Torino i frutti piu’ saporiti della loro serra romana dove alla luce di propizie comete essi coltivano da anni che sembrano tantissimi a confronto della giovane eta’ dei due artisti”. Concetto per la quale all’appuntamento di Genova Attilio Podestà scriverà su “Domus” (n. 138, Milano, gugno 1939) la recensione “Mirko e Afro Basaldella alla Galleria Genova, ribadirà e riconoscerà la novità artistica dei due fratelli come “la piu’ alta garanzia di un risveglio spirituale del nostro tempo”. Difatti – prosegue Podestà – “molte sono le strade che la pittura moderna ha tentato, nella ricerca di un aderente linguaggio di realizzazione espressiva, e con giustificato motivo. Tuttavia l’orientamento dei migliori delle nuove generazioni si pone ormai con un parallelismo di determinazioni plastiche, i cui rapporti non si devono considerare casuali, ne’ in dipendenza di mera influenza, ma come ineluttabilita’ di un destino comune, come accettazione cosciente di ideologie estetiche precise, riflesso dello spirito del nostro tempo, per cui e’ chiaro che il fatto arte torna a risolversi in espressione, secondo i mezzi prorpi della pittura e della scultura, in dramma plastico autonomo, fuori di ogni concettualismo, come di ogni astrazione intellettualistica. Il pittore Afro Basaldella, che espone con il fratello Mirko, nelle sale della Galleria Genova, si inserisce con la sua gia’ matura giovinezza, con il calore di una intelligenza attenta alle piu’ libere indicazioni del gusto, in questa corrente, con una sua personalita’ gia’ decisa, che negli accenti di una pittura grassa, nella risonanza magica dei densi e sostanziosi rapporti cromatici si rivela, riallacciando lui veneto, con giustificata interpretazione di quello che significa tradizione, all’esaltante colorismo della grande tradizione veneta”.

In questi anni le commesse pubbliche si moltiplicano. Oltre i citati casi, occorrerà ricordare almeno la realizzazione di una delle pareti della Centrale Idroelettrica del Peschiera a Salsano (Rieti) e del murale I Minatori per la mostra del Minerale a Roma. Nello stesso tempo ad Udine vince un concorso sul tema “Si fondano le città…” bandito dalla Fondazione Marangoni e gli vengono commissionati due grandi affreschi per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi per l’E42 a Roma. Altrettanto vivace è pure l’attività espositiva personale che dopo la “Cometa” di Roma, lo vede impegnato anche nella succursale di New York, nonché alla VII Sindacale Laziale con Fiori e Autoritratto (Galleria Nazionale d’Arte Moderna) e poi ancora a Genova, Torino (presentato da Libero de Libero); a Milano alla II Mostra di Corrente e al I Premio Bergamo, dove partecipa con Paesaggio piemontese e Natura morta e successivamente alla IV edizione del 1942 nella quale si aggiudicherà il 4° Premio giunto a L. 2.500 con La sedia o Seggiolone (Cfr. “Gli anni del premio Bergamo, Milano 1993). Le sue opere sono ormai sganciate dagli stilemi del suo maestro Cagli (ormai fuori dall’Italia per le ben note leggi razziali e con il quale si ricongiungerà solo dopo il 1948 al suo rientro a Roma) e lasciano trasparire una maggiore libertà compositiva metafisica piuttosto vicino a quella di moranti che non propriamente quella tonale ed espressiva romana.

Ancora nel 1940 sue opere si trovano alla IX mostra del Sindacato laziale per la quale Silverio Ormisda scrive su “Il Meridiano di Roma” del 5 maggio del 1940 un articolo (“Pittura alla Sindacale del Lazio”) con il quale vengono sottolineate alcune spericolatezze della nuova pittura italiana e in particolare dello stesso Afro Basaldella allorché scrive: “… sul panorama offerto dalla selezione della produttivita’ figurativa attuale, per vigile cura delle autorita’ sindacali, emergono raggruppamenti e si delineano correnti vivaci dell’italianita’ pittorica e plastica, rivendicanti i caratteri della nostra civilta’ contro la debauche del decadentismo internazionale, per virile senso della tradizione ricongiunta alla Rivoluzione […] Afro Basaldella sceglie la perigliosa china dello sfacelo di apparizioni quasi spettrali”.

Per l’occasione il Governatorato di Roma acquista l’opera Demolizioni, tela molto simile per molti versi a quelle dipinte da Mafai ma dalla pennellata più tumultuosa e strutturata in un paesaggio naturalistico già predisposto alla scomposizione e allo sganciamento dalla rigida geometria delle architetture. Più che “spettrali” si direbbe degne della nobile tradizione romana della pittura di “ruina” che Afro Basaldella ben conosceva.

La partenza per Venezia, dove con Montanarini e Tamburi ottiene una sala alla XXII Biennale Internazionale d’Arte segnerà anche la fine del primo lungo idillio di Afro Basaldella con la città di Roma. A Venezia trascorrerà buona parte del periodo di guerra, sposando Maria Romito ed ottenendo nel 1941 una cattedra di Mosaico all’Accademia di Belle Arti. Nella città lagunare stringerà nuove ed importanti amicizie con Vedova, Turcato, Santomaso, Pizzicato con parte dei quali nel 1952 formerà il “Gruppo degli Otto” teorizzato da Lionello Venturi in contrapposizione al “realismo socialista” e all’astratto “concreto” di quegli anni.

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