Una forma pittorica può avere anche valore di apparizione? L’organismo rigorosamente formale di una pittura può contenere ala leggerezza, il respiro di una evocazione, l’improvviso soprassalto della memoria? E’ questo per me il problema; in questo consiste la irrequietezza continua che mi stimola a dipingere.
Il quadro deve essere un modo chiuso; il “dramma” non può svolgersi che là dentro. Soltanto su questa scacchiera si perde o si vince interamente.
Eppure ancora ieri un amico mi diceva che le forme della mia pittura paiono oscillare, muoversi, come se fossero ancora imbevute dal rimpianto o dall’attesa di un’altra atmosfera: quella che traversarono per concretarsi. Non so se questa impressione di animazione, di un vento segreto che investa le mie immagini sia esatta; ma spesso anch’io sento che la sostanza del mio colore, lo sviluppo delle mie linee creano uno spazio che non è altro che lo spessore della memoria.
Le forme si aprono e si determinano come impronte, dimensioni provenienti da molto lontano.
Penso spesso così d’essere un pittore di storie. Se i miei sentimenti più profondi, i miei ricordi, i miei giudizi sulle cose, le mie insofferenze e persino i miei errori e terrori si condensano nell’andamento di una linea nella luminosità di un tono, sento che il mistero con cui la mia intera vita sfocia nella pittura può essere inteso all’inverso e permettere alle immagini della pittura di risalire fino alle origini della mia vita.